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martedì 5 novembre 2002 , pag. 18
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Libri & società. Il giornalista del Corsera
è stato invitato dalle Donne Città Futura e dalla Società Letteraria
Quando gli xenofobi ce l’avevano con noi
Sala stracolma in via Garibaldi
per la presentazione dell’«Orda» di Gian Antonio Stella
di Giancarlo Beltrame
Sala stracolma, con tutti i 220 posti a sedere occupati e almeno una
settantina di persone in piedi lungo le pareti di fondo e laterali, per
ascoltare la presentazione dell’ultimo libro di Gian Antonio Stella
L'Orda, quando gli albanesi eravamo noi , edito da Rizzoli, organizzata
dal Coordinamento Donne Città Futura e dalla Società Letteraria.
L’intervento dell’autore è stato preceduto da una toccante testimonianza,
piena di una dignità rivendicata a tutta voce, di Brigitte Atayi,
immigrata africana, originaria del Togo, in Italia da 12 anni, sposata con
un italiano e con due figli italiani (anzi, «uno romano e uno zeviano»,
come ha raccontato per sottolineare il senso di appartenenza, un po’
ingenuo e insieme molto profondo, alla terra che li ha visti nascere), che
ha messo in evidenza come leggendo le pagine di Stella abbia ritrovato
applicate agli emigrati italiani molte delle categorie di giudizio (o
meglio di pregiudizio) e di comportamento che lei ha vissuto sulla propria
pelle dal 1991.
Con la medesima brillantezza della sua scrittura, Stella ha illustrato poi
il senso del proprio libro, un «testo sulla xenofobia anti italiana»,
vista in una doppia ottica, quella della matrice razzista di chi sentiva i
nostri antenati come invasori, e quella che «un po’ ce la andavamo a
cercare con comportamenti oltre la legalità».
«Una ambiguità di fondo», ha rimarcato, «che allora investiva noi e oggi,
che siamo diventati terra di immigrazione, loro, quelli che arrivano. Gli
“albanesi” di turno».
Il percorso storico di Stella parte dalle grandi migrazioni della seconda
metà dell’Ottocento e arriva fino «a ieri mattina», come ha più volte
ripetuto, ossia all’inizio degli anni ’70, quando ancora in Svizzera
c’erano mille bambini italiani clandestini, tenuti nascosti in casa, pena
l’espulsione che spesso significava finire ospitati in un orfanotrofio sul
confine per rimanere almeno un po’ vicini.
«Per decenni gli italiani hanno vissuto sulla loro pelle una ostilità
molto dura, callosa, frutto di stereotipi di ogni tipo, nati persino sulle
pagine dei letterati viaggiatori che visitivano l’Italia e se ne andavano
convinti che fosse un “Bel paese con brutta gente”».
La lezione di Stella ci aiuta a capire meglio il fenomeno che ora viviamo
dall’altra parte della barricata e a cercare di trovare risposte diverse
da quelle troppo semplificatrici del razzismo imperante in alcune fasce
della società e della politica. «Anche se non sono un buonista», ci tiene
a sottolineare. «E chiedo regole certe e il loro rispetto».
Tra i numerosi interventi, molto limpido quello del procuratore aggiunto
di Verona Mario Giulio Schinaia, «figlio di un emigrato che nel 1919 varcò
l’Oceano e rimase 14 anni negli Stati Uniti». Per Schinaia, oggi come nel
passato, il problema è che chi emigra per lavorare onestamente sente il
peso dei comportante delinquenziali di alcune minoranze. «Scattano così
meccanismi di generalizzazione che ingenerano il razzismo, ma dobbiamo
imparare a considerare le persone per quello che sono e non per la razza,
la lingua o la pelle».
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