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giovedì 5 giugno 2003
POESIAFESTIVAL 2003

COMEDIA
RECITAL DI ROSARIA LO RUSSO


San Pietro in Cariano, Corte Montenar

Rosaria Lo Russo


 

 

 

lunedì 9 giugno 2003, pag. 26 


Poesia Festival. A Corte Montenar i monologhi dissacranti e sarcastici di Rosaria Lo Russo
Una Penelope stufa e nevrotica che non ha voglia di aspettare Ulisse
Paola Azzolini

Corte Montenar è un luogo incantevole isolato sulla collina che domina la Valpolicella a Bure e di sera dalla balconata antica si vedono giù, in basso, le luci della valle e della città. Lì, sui gradini di pietra corrosa dal tempo, sullo sfondo delle inferriate delle grandi finestre secentesche, Rosaria Lo Russo ha recitato i suoi due monologhi nella serata di Poesia Festival a lei dedicata. La scena della grande corte faceva da sfondo efficace alla sua figuretta snella, vestita di un abito nero un po' liberty e ai capelli biondi illuminati dal riflettore. E poi la voce, forse l'arnese più affascinante dello spettacolo-recital, una voce limpida, ma capace di sonorità gutturali, melodica e dissonante, adattissima ai suoi versi.
Rosaria Lo Russo arriva alla poesia dalla saggistica e, benché giovane, ha un lungo percorso di pubblicazioni proprie, di traduzioni e di «performance» come questa che ha concesso al Poesia Festival . Uno dei due testi che abbiamo ascoltato è stato recitato da Piera degli Esposti, mentre altre sue cose sono state messe in scena con la collaborazione di Nanni Balestrini.
I due monologhi, Comédia e Penelope , danno voce a due personaggi femminili diversissimi. In Comédia chi parla è una ragazza mistica e sentimentale che nel suo sfogo sensuale e melodrammatico insieme, utilizza espressioni di una vera mistica, la beata Angela da Foligno. Nel suo delirante orgasmo linguistico la protagonista si offre all'abbraccio di un'entità maschile oscura, pelosa e misteriosa, in totale e masochistico abbandono. Ma le impennate di suoni aspri, le assonanze difficili («O re di cuori la cui trippa fiacca mi rende stracca») e i nonsense parodizzano l'abbraccio luttuoso e ne viene un'immagine tutta spigoli e ironia corrosiva di un modello femminile fin troppo abusato.
Così Penelope (il volumetto dallo stesso titolo sarà tra poco in libreria per Bompiani) non è la moglie modello, ma una casalinga nevrotica che vive tra vasetti di conserve, pretendenti pelosi e nerboruti, per cui non sente nessuna attrazione, «ciabattando fra il vacuo cincischio operoso delle ancelle».
E se Ulisse ritorna? «Mi sa che giro il culo e me ne vado, mi sa che non ti riconosco». Non è difficile ravvisare il profilo che da sempre la tradizione assegna alla moglie fedele e obbediente, ma visto dalla parte di lei che non ne può più di casa, cucina e magari orto, visto che siamo a Itaca, notoriamente isola agreste. «Da vent'anni labbropendulo ogni poco mi segno / e metroquadro a salvaguardia i tuoi possessi / con una spessa cotenna di scontento e contegno / e l'ancella alle calcagna tappa le conserve».
Anche quella di Rosaria Lo Russo è dunque un poesia che si muove sul filo della dissacrazione, tra ironia e amarezza, proiettando, come tanta poesia di oggi, i propri fantasmi «picconatori» su alcune icone abusate della tradizione, icone femminili appunto. Ma forse per rinnovare il nostro modo di vedere il passato bisogna cominciare proprio da lì.