Poesia Festival. Quando gli autori leggono i propri versi
Bianca Maria Frabotta, un fiume
che scorre
Paola Azzolini
Biancamaria Frabotta
Non ultimo pregio dell’attuale edizione
del Poesia Festival di Verona e della Valpolicella (ma anche
delle edizioni precedenti) è farci scoprire luoghi nascosti e
bellissimi della nostra campagna. Corte Novaie a Marano, dove abbiamo
ascoltato la poetessa Bianca Maria Frabotta, è nascosta fra il verde
in un cerchio di colline, un casale con la torre della piccionaia,
rustico e affabile nella sua concreta natura casalinga con gli
attrezzi bene in vista e un cagnolino che abbaia per benvenuto. Andrea
Afribo, italianista di fama, alle prese con una femminista doc come la
Frabotta, anche lei italianista, ha sfoggiato tutte le arguzie di una
finta perplessità e ignoranza dei temi della protesta delle donne.
Ma la poesia della Frabotta va oltre e insieme ai tasti dell'attualità
e della storia recente, ha la sua musa in un profondo e sincero scavo
interiore. Così la poetessa alta, vestita di chiaro, coi capelli
biondo argento e una voce profonda e melodiosa, nella luce delle
lampade, fra uno svolazzare di falene, ha incantato un po' tutti con
una lettura melodica, intonata, come un fiume che scorre. Verrebbe da
dire che solo i poeti e le poetesse sono in grado di leggere bene le
loro poesie, senza retorica e con un accento che evoca quel silenzio
interiore ed esterno, in cui sempre deve svolgersi la lettura
personale della lirica moderna.
La poesia di Bianca Maria Frabotta nasce con la raccolta La
viandanza del 1995, dove tutti i modi stilistici sperimentati nei
dieci anni precedenti si sciolgono si ricompongono in una cifra
personale riconoscibile. L'ultimo libro, uscito per Lo Specchio
Mondadori, La pianta del pane (2003) raccoglie, come dice
l'autrice, le poesie «con la testa leggera» ossia brevi componimenti
dove il tema è l'amore coniugale: «Mio marito ha un cuore generoso /
come quel dio che dona il primo verso», un'elegia commossa e priva di
sbavature sentimentali, ma piena di una intensa dolcezza.
Poi la poetessa legge altri componimenti della medesima raccolta: per
la madre, di grande e stremata intensità, Alle sorgenti del Volga
, diario di un viaggio verso un luogo solenne e sconosciuto. Ma il
libro è costruito come una progressione musicale, e le correzioni -
dice Frabotta - sono state tutte registrate su questa sequenza che
vede susseguirsi un andante, un allegretto e un adagio solenne finale.
Alcuni testi sono nati dall'attualità, ma tendono a sensi universali,
superano la cronaca per approdare alla riflessione, ad un pensiero
etico. Al di sotto di un po' tutto questo percorso c'è una precisa
poetica: «Cerco di essere fedele a un mandato che mi do: parlare
sempre di una cosa precisa. Non tollero una poesia di pura evocazione,
di pura sonorità».
Per capire meglio che cosa sia per Bianca Frabotta scrivere versi,
serve anche l'epigrafe in testa al volume, tratta da un libro di
Natalia Ginzburg: «Si nutre e cresce in noi». Che cosa? Evidentemente
il mestiere di poeta.