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Giovedì 12 giugno

CANTO C'E' ANCORA OLTRE IL VENTO CHE ROVINA

Incontro con Giuseppe Conte
Presenta Stefano Verdino

Pescantina, Villa Bertoldi

 

 

giovedì 29 maggio 2003 pag. 43


 

Poesia Festival. Incontro a Villa Bertoldi di Settimo
Conte, la riscoperta del linguaggio mitico
Ma anche la protesta per la violenza e l’amore
Paola Azzolini

 

Nella sala a terreno di villa Bertoldi, a Settimo di Pescantina, Giuseppe Conte si è offerto con grazia e sapienza alla curiosità discreta e all'interesse del pubblico di Poesia Festival. E non poteva essere diversamente, perché la sua poesia, nuova per questi tempi di sperimentalismo raziocinante e di tecnologia, ma di fatto antica e con radici eterne, parla dell'io del poeta, della sua storia, del suo cammino fra il dolore e gli ostacoli del vivere, della natura e dell'anima e del mito che abita in tutti noi.
Stefano Verdino ha efficacemente inquadrato la vicenda creativa di Conte, dal primo libro del 1979, L'ultimo aprile bianco , alle esperienze più recenti, anche narrative, alle traduzioni dall'arabo (il poeta Adonis che Conte ha fatto conoscere in Occidente). Il primo libro era carico di cadenze montaliane, del primo e più grande Montale, che risuonano però diverse. Al Montale degli Ossi di seppia non si può chiedere "la parola che mondi possa aprirci".
Conte, ligure anche lui, mentre riscopre negli scogli e nella natura scabra della sua terra lo stesso amore del suo grande predecessore, per le creature e per l'uomo minacciato, rilancia però la speranza di una poesia che sappia trovare nelle cose la parola del mito, come energia spirituale, come grande domanda sui primi perché. Perché Conte ama i classici, anche italiani, così spesso negletti, Foscolo, Alfieri, Leopardi e come per loro, il fine della poesia per lui è ancora una parola capace di dare senso al mondo.
Poi il poeta legge con tono piano e distaccato alcune delle sue composizioni. Ne viene qua e là come un trasalire di racconto, anche se questa è lirica nel senso alto e romantico del termine: la giovinezza sofferente, solitaria, gli anni dell'università, dove trionfa la cultura d'avanguardia, la poesia di Sanguineti e Balestrini, la musica di Cage, un sapere analitico, lontano dalla poesia. Poi "la conversione": la lettura di Hillman, di Spengler, di Alce Nero, lo sciamano Sioux, i viaggi in Messico, in Irlanda alla ricerca della sapienza originaria dei Celti. Come accennavamo, la poesia di Conte nasce dalla riscoperta del linguaggio mitico del mondo, dall'azzardo della parola che vuole ridare senso al mondo.
Ma è anche una poesia di protesta per la violenza che abita la cultura occidentale, contro gli uomini e contro le cose. In Lucus Birmani una Diana ligure, dea dei boschi per i romani, riappare fra le felci e i pini, invocata per un ritorno all'infanzia favolosa, quando il poeta era "un bambino arcere" che oggi, come allora, chiede di poterle cadere vicino. L'amore è la forza primigenia che possiede il mondo e il lungo, violento abbraccio di due tartarughe diventa il simbolo in Il pomeriggio d'amore di due tartarughe, di una sensualità, di un piacere panico che gli umani hanno dimenticato:"carezzare è difficile per chi crede di avere un'anima". Calvino in Palomar descrive un episodio simile, ma dopo Conte. Con lui si scusò di questo plagio involontario. Infatti il testo poetico non lo conosceva. Strane coincidenze creative! Così Conte e Calvino diventarono amici e Calvino aiutò il poeta più giovane a raggiungere la notorietà anche all'estero, dove oggi i suoi testi sono tradotti e conosciuti.