domenica 15 giugno 2003 pag. 46
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Dibattito
sul futuro della lirica: il sovrintendente spiega le difficoltà
«L’Arena deve divenire un’azienda
speciale»
Gianni Villani
«In forma d'opera», ovvero tutte le prospettive che investono oggi il
teatro lirico a Verona. È stato un dibattito a 360 gradi quello
organizzato, l’altra sera, dalla Società letteraria per fare il punto sui
destini dell’estate lirica veronese e su tutta la problematica economica,
finanziaria e culturale che la coinvolge. Al tavolo dei relatori il
sindaco Giorgio Zanotto, il sovrintendente della Fondazione Arena Claudio
Orazi, il critico de L’Arena , Cesare Galla; l'avvocato Lamberto
Lambertini, in rappresentanza di uno dei soci privati della Fondazione e
Luigi Tuppini, presidente dell'Accademia filarmonica.
L'Arena, il «giacimento» culturale più importante per la città, vive
giorni non certo facili. Ma anche il rapporto teatro-musica,
musica-turismo, considerato come uno degli aspetti più qualificanti per
richiamare non pochi visitatori in città, può rischiare molto. In questa
analisi profonda è stato chiamato in causa soprattutto Orazi.
Il sovrintendente ha tracciato dapprima una mappa della geografia
nazionale di tutte le entità musicali e teatrali, quindi è passato alla
nota questione dei finanziamenti pubblici, della loro inadeguatezza e
staticità (sempre inferiori al tasso d'inflazione nazionale, in cui Verona
è situata al terz'ultimo posto, con 14 milioni di euro), a fronte di un
crescente aumento dei costi di gestione, primo fra tutti quello che
riguarda il personale stabile.
La sua relazione sulla normativa che tocca gli ex enti lirici italiani,
oggi trasformati in fondazioni, è stata molto chiara. La mutazione
giuridica dei soggetti preposti alla diffusione della cultura musicale
italiana deve ormai chiaramente farli viaggiare in un contesto economico
che punti alla razionalizzazione e alla produttività, visto che le
componenti essenziali della produzione (direttori, cantanti, registi,
allestimenti, ecc.) vengono acquisite secondo una logica di mercato.
È inutile sperare un ravvedimento dei governi quando si è sempre rifiutato
il minimo tentativo di analisi storica e fattuale di una crisi sostanziale
dei teatri d'opera, che ha radici lontane, fin dal 1946. Se non vi fossero
stati soci privati, come banche e altri istituti di credito, le fondazioni
sarebbero già ferme da tempo. Cosa opporre, allora, a questo stato di
impasse burocratico e legislativo?
Secondo Orazi bisogna rassettare le spese e le sacche di improduttività,
incentivare e aumentare la produzione artistica, far poggiare l'Arena
(vista la concorrenza dei numerosi spazi all'aperto nati in tutta Europa)
su una vera originalità ed esclusività dei suoi programmi, trasformandola
in un'azienda speciale.
«Abbiamo bisogno», aveva esordito in apertura il sindaco, «di far assumere
anche una visibilità diversa a Verona, non esclusivamente per la sua Arena
ma per il suo aspetto globale, storico e culturale. Abbiamo quindi scelto
Orazi per la sua capacità di interloquire e di aprire collaborazioni con
tutte le altre realtà della città».
Cesare Galla ha posto domande dirette al sovrintendente, riguardo lo stato
del passivo che colpisce il bilancio 2002, le trattative in corso per il
rinnovo del contratto integrativo aziendale, le prospettive con cui si
avvia la gestione 2003. Ha ricevuto adeguate risposte, anche se il quadro
complessivo tracciato da Orazi, non era sempre improntato all'ottimismo.
Anzi.
«Faremo il nostro dovere di soci privati», ha precisato l'avvocato
Lambertini a nome del Banco di Verona e Novara. «Contiamo di intervenire
in base alle necessità della Fondazione». E proprio Lambertini ha
garantito che le prove generali delle opere in Arena torneranno ad essere
aperte al pubblico. Una notizia che troverà certamente ampi consensi fra
il pubblico veronese.
Ha chiuso il dibattito Luigi Tuppini richiamando alla mente le stagioni
migliori dell'Arena, quelle che vivevano sulla capacità di un impresariato
illuminato e sul calore di un certo divismo. «L'opera in Arena deve sempre
nutrirsi della migliore tradizione», ha sostenuto, «ma con un tasso
qualitativo molto elevato».
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