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22 maggio 2003

presentazione de
 LA COLPA DEL RE
di Antonio Caponnetto

intervengono
Arnaldo Ederle
Alberto Tomiolo
Antonio Caponnetto

 

 

 

giovedì 29 maggio 2003, pag. 43


Presentato alla Società Letteraria il volumetto «La colpa del re»

Il «viaggio» di Caponnetto nelle liriche in quattro linguaggi
La colpa del re, anzi «La faute du roi- Di quale?- Ma di quello di Babele». E' stato presentato alla Società Letteraria "La colpa del re", prezioso volumetto di liriche di Antonino Caponnetto (Campanotto Editore) che, come principale caratteristica ha quella di avvalersi, nella sua composizione, di quattro lingue diverse.
Ma perché un madrelingua italiana che ha viaggiato, ma ha sempre vissuto nel nostro Paese, sente il bisogno di esprimersi, meglio di "comporre" in un intarsio di idiomi, ha provocato Arnaldo Ederle, che ha curato l'incontro?
«Semplicemente perché non posso farne a meno» ha risposto Caponnetto di nascita catanese, ma che da anni risiede a Mantova. Ha poi spiegato che diversi linguaggi corrispondono a diverse risonanze del poeta che è in lui e non potrebbero essere espresse che in quelle lingue. Pensiamo alle ninnananne surreali di Lorca, suonerebbero in un idioma diverso dallo spagnolo?
La maledizione di Babele, allora, o meglio, in questo caso- come ha chiosato Alberto Tomiolo relatore dell'incontro- il dono di grazia della Pentecoste. Una benedizione che prima di tutto svincola il poeta dal suo Sud. Come i grandi siciliani Pirandello o Tomasi di Lampedusa, forniti di milieu europei, Caponnetto riesce a superare la nostalgia dei suoi litorali natali. Poi la poliglossia predispone a un viaggio, in paesi e luoghi diversi, che sono rigorosamente segnati da vie e piazze con tanto di nome, ma sono anche luoghi dell'anima e tappe della vita. Ascoltiamo direttamente Antonino Caponnetto in "Nous voyageurs": «Strimpellatori d'arpe, camminiamo/nous, voyageurs d'Espagne e d'Angleterre.// E il monte innanzi a noi, là, nel biancore/innevato dei picchi, alto si leva.//Dominio dei rapaci e delle fiere/quale Taiga ci attende non sappiamo//né valico e pendio. Comme à la guerre,/le distanze annullando, camminiamo». I vari linguaggi del mondo dicono pure di un impegno civile della poesia e di un itinerario tutto sommato dal significato e dal futuro oscuri. Per affrontare i lontani "picchi innevati" e la "taiga" dobbiamo essere armati di qualche cosa. Antonino, citando un poeta ungherese a lui caro ma che ormai nessuno ricorda più, suggerisce la penna, più efficace di un coltello.
E qui altri versi come la lirica "El sueno del hermano", titolo rubato a Machado, che coniugando l'italiano con lo spagnolo e il francese parla, crediamo, di una morire lento e ineluttabile cui, tuttavia, è necessario opporsi con la forza del "sole estivo". O "Solo per oggi il cuore" che, afferrato saprà, almeno per oggi, dire "no". (a . m.)